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Conceptual Photography. Fotografia Concettuale italiana e internazionale anni '60 /'70

Inizio evento 07.08.2016 | Fine evento 04.08.2016


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Conceptual Photography. Fotografia Concettuale italiana e internazionale anni '60 /'70

Periodo: 7 agosto – 4 settembre 2016
Orari: ven-sab-dom ore 18,00 – 20,00
Luogo: TOMAV- Torre di Moresco Centro Arti Visive - Moresco (FM)




Inaugurata il 7 agosto la mostra antologica Conceptual Photography, curata da Osart Gallery, interamente dedicata alla fotografia concettuale internazionale.
Sulla scia del successo ottenuto con la prima edizione della mostra, svoltasi lo scorso febbraio presso la sede milanese della galleria in Via Lamarmora, ora – all'interno della suggestiva cornice in cui si inserisce la Torre di Moresco, sede del Centro di Arti Visive – Conceptual photography si arricchisce di altri numerosi e importantissimi protagonisti che hanno contribuito in maniera decisiva a creare e a diffondere nel mondo nuovi modi di creare arte a 360 gradi attraverso il medium fotografico.
A differenza del fotografo che raffigura le situazioni che scopre nel corso dei suoi viaggi attraverso la realtà, questi protagonisti dell'arte fotografica concettuale trasfigurano ogni aspetto di quanto esiste nel mondo in immagini riprese sì fotograficamente ma che vengono ideate, interpretate e trasformate attraverso la loro mente, le loro emozioni, e le loro idee umane e sociali.
Tutte le opere sono vintage – cioè fotografie originali storiche prodotte personalmente dall'artista, o sotto la sua direzione.
Fra questi artisti, italiani e stranieri, troviamo Vito Acconci, Vincenzo Agnetti, Carlo Massimo Asnaghi, Giuseppe Chiari, Giuseppe Desiato, Joe Jones, Kenneth Josephson, Ketty La Rocca, Elio Mariani, Duane Michals, Dennis Oppenheim, Claudio Parmiggiani, Aldo Tagliaferro, Franco Vaccari, Minor White e Michele Zaza.
Così come afferma Daniela Palazzoli, nell'introduzione di Fotomedia, mostra chiave per comprendere gli sviluppi della fotografia concettuale: “Gli artisti qui coinvolti col mezzo fotografico non vogliono esibire il mondo così com'è ma, per quanto diverse siano le loro esigenze e le loro rivendicazioni, essi hanno in comune la volontà di indagare il mondo in cui vivono e di risolverlo secondo un'interpretazione personale “.



Il percorso espositivo si snoda attraverso i quattro piani di questa storica Torre eptagonale, costruita ben nel XII secolo per difendere la città di Moresco e le zone limitrofe da incursioni pericolose.
Possiamo così, man mano che procediamo, soffermarci a scoprire i modi in cui ognuno di questi straordinari reinventori della fotografia ha adottato ed adattato le molteplici tecniche di questo eccezionale linguaggio espressivo – in modo da esaltare sia il potenziale di invenzione della loro struttura tecnico-meccanica che le scoperte visivonarrative delle singole opere.
Gli strumenti linguistici e tecnici usati da ognuno sono infatti molto vari: vi sono tra gli altri immagini pure, sequenze, dittici, creazioni ibride che introducono il video, e fotografie che arricchiscono il ritmo dei racconti e dei concetti con l'introduzione di appunti, parole, sequenze numeriche, simboli e segni grafici come contemporaneamente i più avanzati facevano in pittura.
Nonostante la diversità di metodologie che ritroveremo poi all'interno del percorso espositivo, ciascuno di noi può rintracciare un fil rouge che prescinde dall'allestimento fisico delle opere. Qui di seguito, proponiamo infatti una disposizione che evidenzia le principali tecniche con cui gli artisti, qui in mostra, si sono confrontati.
Una delle soluzioni elaborate prevede l'utilizzo di sequenze. Fra le sequenze, che trasformano l'uso degli scatti meccanici in veri e propri racconti, troviamo Michals con Things are queer (1971); Parmiggiani con le sue celebri Mucche zoogeografiche (1973); nonchè il Naufragio euforico (1974) di Zaza e I, II, III (1984) di Chiari.
Nei sette pannelli che compongono il Progetto panteistico (1973) di Agnetti poi ci troviamo a fare i conti con il possibile effetto che lo scorrere del tempo - in cui egli ci coinvolge attraverso il processo naturale sapientemente riprodotto dalla crescita di una foglia – può avere per ognuno di noi.



Agnetti, come Acconci, Jones, La Rocca ed Oppenheim, accosta anche alla pratica fotografica l'inserimento di appunti, sequenze numeriche, simboli e segni grafici vari, collegati coi significati concettuali che ognuno degli artisti persegue. In Control Box (1971) ad esempio Acconci inserisce, datandole un giorno dopo l'altro, le pagine di un suo diario in cui mostra il rapporto ossessivo e contorto che lega lui ad un gatto.
La fotografia per Ketty La Rocca acquisisce veridicità se è accompagnata dalla parola e dal segno. Nell'opera La Galleria (1974), appartenente alle Riduzioni, l'immagine fotografica, tratta da un momento saliente della vita dell'artista, viene come “cancellata”.
È l'inchiostro che ci guida nella lettura. Sulla carta, la calligrafia minuta di Ketty ci permette di ri-leggere ciò che vediamo senza cadere nello stereotipo mass mediatico.
I bianchi e neri di White hanno la capacità di mostrarsi, come lui stesso afferma, per “ciò che sono di diverso” (for what else they are). La potenza della sua ricerca fotografica si esprime soprattutto attraverso la cura del particolare che in opere come Statue (1973) diventa il tutto.
Ken Josephson crea a sua volta racconti in cui realtà e finzione sono presentati sia come forme visive che come opzioni alternative di parole e immagini in cui si lascia al desiderio di ognuno di distinguere una eventuale momentanea verità.



Per Tagliaferro e Mariani, il procedimento “meccanico” di riproduzione dell'immagine si concretizza tramite la tecnica del riporto fotografico: i bozzetti di Mariani (1976) trasferiscono su tavola alcune scritte che richiamano le testate giornalistiche degli anni '70, mentre il dittico Identificazione mnemonica (1972) di Tagliaferro confronta, su tela emulsionata, il ricordo più o meno vivido di un luogo con la sua esposizione fotografica.
In un altro caso, Asnaghi si ispira alla consequenzialità fra la fotografia e l'emergere dei videotapes.
In Mito Istantaneo (1974) Franco Vaccari innesca il processo tipico delle sue Esposizioni in tempo reale (n°7). In questo caso è lo scatto con una polaroid a dare inizio al processo.
Vaccari, infatti, avendo a disposizione due ambienti, in uno fotografava i visitatori, nell'altro faceva proiettare sulle pareti la foto appena fatta che in questo modo risultava ingigantita. Chi era stato fotografato, quando scopriva la propria immagine proiettata, veniva illuminato e rifotografato insieme a questa.
Desiato, infine, ha un altro obiettivo con il suo Rayogramme (1978) di ispirazione dadaista: documentare le sue “esibizioni”. La fotografia contiene pezzi di tulle e nastri utilizzati durante la performance quasi a testimoniare la sua reale avvenuta.
Alla fine di questo percorso in cui ognuno di questi grandi maestri ha espresso la propria personalità creativa, anche noi scopriamo di saper coltivare in noi stessi i concetti da cui essi sono partiti, e cioè che la fotografia non è solo immagine ma diventa un linguaggio comune che tutti ci unisce per creare, rivelare, condividere, raccontare e reinventare le idee e la vita nel mondo di tutti i giorni.



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